Le parole della lingua italiana, sono straordinarie, sonore, evocative, ricche, piene di storia e di passione. Una lingua stupenda che sta scemando e morendo quasi come la fiamma di una candela che si affievolisce pian piano.
Così Annamaria Testa, saggista, docente, creativa (e molto altro), descrive la lingua Italiana nel suo TED talk del 2015 “From bello to biutiful: what’s going on with the italian language?”.
Come afferma la speaker, oggi più che mai la contaminazione linguistica serpeggia nelle nostre conversazioni spontanee, determinando l’insediamento di anglicismi nel vocabolario comune ed erodendo la bellezza e la storia di una lingua romantica come l’italiano.
Il primo cerchio del TEDxuniversitàIULM si è generato attorno a tale argomento, innescando un dibattito avvincente, in cui l’alternarsi di opinioni più disparate ha fornito ulteriori chiavi di lettura sul tema.
L’incontro si apre con la massima “la nostra lingua è quella che parliamo” ponendosi in contrasto, fin da subito, rispetto alla tesi portata avanti da Annamaria Testa. Vivere in un mondo globalizzato ci connette continuamente con altre culture e strutture sociali. Essendo la lingua parte di una struttura, è poco probabile che essa venga lasciata fuori da qualsiasi influenza e rimodellamento. L’egemonia mondiale della lingua inglese spiega perché oggi si preferisca dare un feedback piuttosto che un riscontro, attraverso una call anziché in una chiamata.
L’arbitrarietà del segno ci ricorda che le parole si sono trasformate nella diacronia del tempo, influenzate da infinite variabili. È per tale ragione che rivendicare la purezza della lingua può risultare un atteggiamento protezionista.
D’altro canto, a rafforzare la tesi della speaker è una buona parte del Circle secondo cui sia giusto utilizzare anglicismi in modo appropriato e funzionale, piuttosto che alternare parole inglesi a quelle italiane, unicamente per rafforzare la credibilità di un discorso. Ampliare il nostro vocabolario originale ci aiuterebbe a valorizzare la lingua italiana; una conoscenza maggiore della lingua inglese posizionerebbe gli anglicismi nelle nostre conversazioni in modo più adeguato.
Quando utilizziamo parole in inglese evitiamo del tutto il corrispettivo italiano, ma quando andiamo all’estero cerchiamo la pizza napoletana e il caffè espresso.
Come italiani, siamo soliti a proteggere i nostri prodotti nel mondo, ma con la lingua questo non avviene. La sensazione è che noi stessi non riconosciamo più la grande carica simbolica e le vibrazioni insite nelle parole del nostro antico vocabolario, tanto da sostituirla laddove si può, impoverendo sempre più il repertorio terminologica (penso tu volessi dire “terminologico”, però comunque semplificherei la frase) a disposizione.
La realtà è che la lingua non può essere “normata”, gli anglicismi fanno parte di noi e nessuno sentirà la sua italianità minacciata da questa commistione. L’integrazione tra culture è una preziosa ricchezza, ci unisce e connette oltre ogni confine. Ognuno di noi ha gli strumenti per usare in modo consapevole l’inglese, con adeguatezza e comprensibilità. In particolare, l’asimmetria linguistica non deve essere usata dalle istituzioni per generare disinformazione. In questo caso, emerge la necessità che l’italiano venga utilizzato nella sua resa più semplice, rendendolo così accessibile a chiunque.
In conclusione, l’opinione comune confluisce in una sintesi:
Quando si parla di creatività, il senso del gusto è da privilegiare perché l’italiano può essere più sonoro ed evocativo più di altre lingue. Quando si parla di comunicazione la comprensione è da prediligere, ma quando si parla del nostro linguaggio, quello che usiamo nelle nostre conversazioni, la lingua è proprio quella che parliamo, ricca di neologismi, influenze, tracce e commistioni con altre culture.
In definitiva il multiculturalismo è il risultato della libertà conquistata nei secoli scorsi e, dopo tutto, la pizza con l’ananas è buona.